La paura di denunciare è ancora tanta
"La violenza pervade ogni sfera vitale della donna, e
si ripercuote sul fisico, sulla mente e nella vita privata di ogni ragazza, donna e adolescente"
Nel mondo la violenza contro le donne interessa 1 donna su 3, solo in Italia i dati Istat mostrano che il 31,5% delle donne ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale.
Le forme più gravi di violenza sono esercitate da partner o ex partner, parenti o amici, gli stupri sono stati commessi nel 62,7% dei casi da partner.
Ma le donne hanno paura e temono il peggio se, in casi estremi, denunciano il carnefice, non si sentono tutelate, una donna su due si sente sola.
I dati allarmanti, anche secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), fanno riflettere, perché la violenza contro le donne è uno dei principali fattori di rischio per la salute pubblica e di morte prematura per le ragazze e le donne.
Ciò che fa più riflettere è che le forme di violenza possono essere molteplici: fisica, sessuale, psicologica, economica, culturale e stalking, il sistema è fortemente complesso ma non solo perché lo stato di salute della donna può essere fortemente compromesso lungo tutto l’arco della vita, ma perché le conseguenze della violenza possono ripercuotersi poi attraverso un palese malessere psicologico su tutta la famiglia, e su coloro che le stanno accanto.
Molte delle conseguenze manifestate possono essere invalidanti (conseguenze da trauma, ustione, avvelenamento, patologie sessuali o riproduttive, problemi ginecologici, interruzione di gravidanza, infezioni sessualmente trasmesse incluso HIV) con un forte impatto psicologico e ricadute sullo stato complessivo di salute.
Quale può essere la soluzione migliore per debellare un problema così grave?
È evidente che nessun intervento può essere efficace senza un cambiamento della mentalità, occorre promuovere il cambiamento culturale e sociale nei comportamenti maschili e femminili, occorre eradicare pregiudizi, atteggiamenti, condotte e abitudini basate su stereotipi negativi di genere, e occorre praticare la solidarietà perché per quanto si dica che il nostro Paese primeggia in solidarietà e sostegno, ritengo che ci sia ancora molto da fare.
Occorre educare i giovani, entrare nelle suole, sensibilizzare attraverso professionisti competenti, inserire nel piano didattico materie e corsi specifici per formare le giovani donne e monitorare le situazioni più delicate, ma ci vuole alla base una grande collaborazione tra corpo docente e famiglie.
Per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall'infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie. Abituare all’ascolto partecipe, all’empatia, al rispetto, soprattutto sin dalla tenera età, incentivare un clima di accoglienza e non giudicante.
Credo che il lavoro di sensibilizzazione e prevenzione necessari per il contrasto alla violenza maschile sulle donne e l’educazione a relazioni non violente, passino per la possibilità offerta alle nuove generazioni, di riflettere su se stessi e sul rapporto con gli altri.
Un altro aspetto fondamentale è poi quello di sviluppare la capacità di costruire relazioni basate sui principi di parità, equità, rispetto, inclusività nel riconoscimento e valorizzazione delle differenze, così da promuovere una società in cui il libero sviluppo di ciascun individuo avvenga in accordo col perseguimento del bene collettivo.
L’azione di prevenzione deve articolarsi in percorsi educativi, orientati soprattutto a bambini, bambine e adolescenti, volti all’esplorazione, all’identificazione e alla messa in discussione dei modelli di relazione convenzionali, degli stereotipi di genere.
Ma il resto del mondo come reagisce a questo dramma vissuto in prima persona dalle donne? Cosa ne pensa l’UE?
Non esistono, a livello europeo, regole uniche per affrontare la violenza di genere o un’interpretazione e strutture giuridiche universali per trattarla, è condivisa però la nozione per cui i dati sulla portata del fenomeno siano sottostimati e le donne, le ragazze e le bambine sono sproporzionatamente più colpite da atti violenti fisici e/o psicologici.
L’Unione Europea lavora da anni per trovare una soluzione comunitaria e offrire un terreno normativo unico, ma al momento i 27 stati sono vincolati dalla direttiva che istituisce norme in materia di diritti e assistenza delle vittime di reato (2012/29/EU) e da quella sull’ordine di protezione europeo (2011/99/EU). Inoltre i membri che l’hanno ratificata, poi, sono tenuti al rispetto delle richieste della Convenzione di Istanbul, orientata specificamente a trattare la violenza contro le donne, il cui livello di implementazione offre un quadro della situazione attuale degli stati in tema di lotta alla violenza di genere.
È anche vero, che in alcuni Paesi sono stati stanziati maggiori finanziamenti per le organizzazioni che si occupano di antiviolenza e per l'apertura di nuovi servizi specializzati, dalle case rifugio a centri per vittime di violenza sessuale o linee specializzate come il nostro 1522. Inoltre alcuni stanno migliorando la raccolta dei dati statistici, la definizione e l’applicazione delle misure cautelari, in più la definizione del reato di violenza sessuale in molti paesi si è allineata alla disposizione della Convenzione, ovvero di basarsi sul consenso.
Nonostante gli sforzi profusi e a causa del sovrapporsi delle crisi in atto, dal Covid, alla guerra alle emergenze energetico-climatiche, non per tutti i membri del blocco il tema rappresenta una priorità. Un segnale importante verso una maggiore coesione di azioni però, è stata la pubblicazione in marzo del piano della Commissione per armonizzare la criminalizzazione della violenza contro le donne. Il progetto punta a garantire limiti minimi di pena per reati di violenza sessuale (8 anni) e mutilazione genitale (5 anni).
Si affiancano alcune richieste da parte del Parlamento europeo, importanti e determinanti: tra queste, quella di rendere la violenza di genere un crimine secondo le leggi comunitarie - al pari di terrorismo, tratta di esseri umani, sfruttamento sessuale, crimini informatici e riciclaggio di denaro; di arrivare a definizioni legali, standard e pene minime comuni per tutta l’Unione.
E, ancora, di includere tra i “servizi essenziali” l’assistenza telefonica, programmi e luoghi di accoglienza e protezione (case sicure e rifugi) e protocolli di supporto medico. Ma l’Austria e la Germania restano indietro, e dalla parte opposta dello spettro si trova l’Austria che nel 2018 risultava tra le nazioni con il più alto numero di femminicidi in cui il killer era un membro della famiglia o partner.
Nel paese alpino dove sono generalmente rari i crimini violenti, le vittime di omicidio registrate sono state più donne che uomini. Per affrontare la situazione, il governo ha recentemente stanziato 25 milioni di euro e avviato una serie di iniziative specifiche, ma molti esperti segnalano il persistere di una mancanza di indignazione generalizzata sulla questione, la sensazione diffusa tra le vittime di non essere credute è pari al 20%, tra i più alti nel continente e causa forme di dipendenza economica estreme.
Sulla stessa linea si trova la Germania, dove al contrario della Spagna, la violenza di genere non riceve una grande attenzione sociale. Se è vero che la situazione è diversa in ogni territorio è altrettanto vero che nel Paese il tema è considerato una tragedia privata più che un problema strutturale.
Nel 2020 una donna tedesca su 3 ha subito violenza almeno una volta nella vita e su un totale registrato dalle autorità di 146.655 casi di reati domestici (5% in più dell’anno precedente), oltre l’80% delle vittime sono donne. Davanti a questi numeri, il ministro della giustizia tedesco, Marco Buschmann, ha affermato di stare lavorando per modificare il codice penale così da permettere di caratterizzare i reati come “di genere”, per migliorare i diritti delle donne nello spazio digitale e per introdurre misure di protezione preventive e aumentare i rifugi di emergenza per le donne.
Ma riassumendo la drammatica situazione che vive la donna nel resto del mondo, ne farei soprattutto una questione di benessere, che sia sociale, psicologico culturale e famigliare, occorre rendersi conto di come il problema in sé pervade ogni sfera vitale della donna, e si ripercuote sul fisico, sulla mente e nella vita privata di ogni ragazza, donna e
adolescente.
Il sistema è sicuramente complesso ma occorre quanto prima bonificare la situazione, e mettere in primo piano la salute della donna e la sua dignità.
Unite e solidali possiamo ottenere dei buoni risultati, dobbiamo crederci fino in fondo.
Dott.ssa Paola Donnini
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