Ascolta il Podcast dell'articolo
Un’infezione da reovirus potrebbe essere alla base dello sviluppo di alcune malattie autoimmuni come la celiachia o il diabete di tipo 1.

La ricerca pubblicata su 'Science', potrebbe gettare le basi per sviluppare, in futuro, un vaccino per contrastare l’insorgenza di tali patologie.
La celiachia è una malattia autoimmune che, stando alle stime del Ministero della Salute, colpisce un italiano ogni 100 – 150 circa (1%) e che, come tutte le altre malattie autoimmuni, è più frequente nella donna con un rapporto maschio-femmina 1 a 3.
La celiachia è provocata da una risposta immunitaria al glutine che, se non prontamente diagnosticata, nei casi più classici non solo danneggia l’intestino tenue, ma causa anche dermatite erpetiforme, anemia, osteomalacia (riduzione della mineralizzazione ossea) osteoporosi e poliabortività. Ciò avviene perché non vengono assorbiti correttamente il ferro, il calcio, il fosforo e tutte le altre sostanze nutritive che normalmente attraversano la mucosa intestinale per essere riversate nel circolo sanguigno.

Al momento, non esiste una cura per la celiachia e l’unico trattamento efficace consiste in una dieta priva di glutine, eliminando grano, orzo e segale.
Evitare questi cibi sembrerebbe semplice, ma la celiachia non è dose dipendente e la risposta autoimmune dell’organismo si attiva già superando i 20ppm (20 parti per milione) quindi bisogna evitare la contaminazione anche per contatto, che spesso è insita nei processi produttivi degli alimenti semilavorati.
Per questo la celiachia è considerata una malattia sociale, proprio per il suo impatto nella vita sociale al di fuori delle mura domestiche.
Ad oggi il numero delle attività di ristorazione che offrono un servizio senza glutine sono sicuramente in forte crescita.
Oggi i locali che hanno un sistema strutturato e organizzato secondo gli standard di qualità aderenti al progetto AFC (Alimentazione Fuori Casa) sono 4600 circa, secondo l’associazione Italiana Celiachia.
Nonostante ciò, è comunque chiaro che siamo molto al di sotto di un numero sufficiente di locali, considerando anche che sono distribuiti a macchia di leopardo sul territorio lasciando spesso vaste aree sprovviste.

“Le difese immunitarie del paziente, impropriamente risvegliate dal glutine attivano varie reazioni, sia sull’apparato digerente che su altri organi del nostro corpo, pelle e anche tiroide. In questo lavoro sono stati studiati i reovirus" spiega uno degli autori della ricerca condotta da Terence Dermody Professore di microbiologia e genetica molecolare alla Facoltà di medicina dell'Università di Pittsburgh.
Molti pazienti celiaci hanno elevati livelli dell’anticorpo contro il reovirus. Inoltre, queste persone hanno anche una sovraespressione del fattore di trascrizione IRF1 (Interferon Regulatory Factor 1), il cui ruolo è ben noto nella perdita di tolleranza al glutine.
Il reoviurs fa parte di una comune famiglia di virus che infettano quasi tutti gli esseri umani durante la loro vita. La maggior parte delle persone risultano infettate già in età prescolare. Tali infezioni raramente causano una malattia. Il più delle volte questo virus non lascia “cicatrici” ma nei soggetti predisposti con un sistema immunitario particolarmente attivo e interessato da uno specifico ceppo del virus si creano le condizioni per l’insorgere della celiachia.
LE BASI DELLA RICERCA
Come si è arrivati alla definizione dello studio
Una prova schiacciante verso l’esistenza di un fattore di attivazione ambientale è venuta nel 2008 studiando la Carelia, una regione che si divide tra due stati, la Finlandia e la Russia.

Le popolazioni sono geneticamente corrispondenti e vivono in condizioni climatiche chiaramente molto simili tra loro, come del resto la lingua. Solo dal punto di vista economico sono estremamente diverse. Nel 2004 il reddito pro capite in Carelia finlandese era dieci volte superiore a quello della Carelia russa, dove infezioni microbiche e virali sono oltretutto più frequenti.
Gli scienziati hanno scoperto che l’incidenza della celiachia nei bambini nella Carelia finlandese, più ricca e moderna, è cinque volte superiore a quella della Carelia russa, più povera e arretrata: 1% contro 5%. Eppure i russi consumano il 50% in più di frumento dei finlandesi (155 kg/anno contro 106 kg/anno), ma i bambini russi si ammalano di celiachia molto meno frequentemente nonostante la predisposizione genetica sia simile.
Quale sia il motivo di ciò è tuttora ignoto. In più, la Carelia finlandese ha anche una delle incidenze maggiori di diabete di tipo 1 al mondo, mentre in Carelia russa è sei volte inferiore.
Esistono anche altri casi simili al mondo. Per esempio, nelle popolazioni di Algeria e Tunisia, i geni di suscettibilità sono egualmente diffusi, e il consumo di frumento pro capite è per tutti e due i paesi elevato. Tuttavia l’Algeria ha la più alta incidenza al mondo di celiachia, il 5,6%, mentre la confinante Tunisia è una delle più basse al mondo con lo 0,28%.
Bisogna dire che il percorso per comprendere la genesi della celiachia, e probabilmente anche di altre malattie autoimmuni, è ancora all’inizio. Nonostante sia chiaro che lo studio mostri che l’infezione porti a una risposta del sistema immunitario contro il glutine, questo non è sufficiente per danneggiare l’intestino come succede nei celiaci. Gli scienziati pensano che ci debbano essere anche altri fattori per far scatenare la malattia, ma ancora non sono stati indagati. Inoltre, non è neanche detto che tutti i casi di celiachia siano stati innescati dal virus. Ciò dimostra che possono esserci celiachie con origini diverse, e senz’altro la ricerca sfata molti dubbi sul fatto che un eccesso di glutine nell’alimentazione possa essere causa di intolleranza.
Questa scoperta non ci permette di curare la celiachia ma, se i risultati saranno confermati, si potrebbe aprire la strada verso un trattamento preventivo, tramite una vaccinazione, e rallentarne così l’aumento dell’incidenza, alla quale si assiste purtroppo negli ultimi anni.
Pellegrino Parente
Commentaires