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La bellezza della forza


Avete mai pensato a cosa sia per voi il perimetro che ci circonda, e sperimentato come possa esserci utile nell’affrontare la vita quotidiana?

Questa nuova rubrica ha l’obiettivo di far comprendere come il corpo alleni l’anima a risollevarsi ogni giorno.

Ogni articolo sarà il racconto di uno sport e di chi lo pratica e come esso influisce, o ha influito, positivamente sulla propria vita.

Comincio dal mio: il rugby.



Mi presento, mi chiamo Erika Morri e sono una rugbista. Voglio condividere con voi come il mio sport mi abbia aiutata, grazie all’allenamento del corpo - ma soprattutto della mente - ad avere un’attitudine verso la vita, “migliorando il mio tutti i giorni”.


2 Coppe del Mondo, 7 Campionati europei, 12 anni in Azzurro su 21 giocati sempre studiando e lavorando, sono stati la mia palestra per allenarmi ad affrontare il quotidiano. Ho smesso di giocare in serie A a 40 anni e per i 9 anni successivi ho ricoperto il ruolo di manager sportiva a livello nazionale, creando progetti nazionali ed internazionali dedicati ai bambini e alle donne.


Nella vita mi occupo di Formazione ed uso il rugby come strumento per far lavorare meglio i team aziendali.

Inoltre ho fatto parte della Commissione per lo sviluppo del rugby femminile in Europa e sono stata chiamata a parlare al Parlamento Islandese (uno dei Paesi più avanzati nelle politiche legate al mondo femminile) di come lo sport supporti le donne nel loro quotidiano. Considero lo sport uno strumento di emancipazione sociale!


Ma che sport è il rugby?


E’ uno sport di contatto e di lotta giocato con una palla ovale. Considerato “da uomini” da coloro che non sanno che nello sport non ci sono uomini e donne, ma persone che, con il loro entusiasmo, gioia ed impegno, esprimono la propria personalità insieme agli altri.


Il confrontarsi “corpo a corpo” in uno sport come il rugby, ha come base il rispetto per l’altro/a e la responsabilità delle proprie azioni. Ecco cosa si insegna come filosofia di vita ai giocatori e alle giocatrici... e che ci si porta anche nella vita di tutti i giorni.


In un gioco dove per fermare l’avversario/a bisogna buttarlo a terra (e a sua volta si viene buttati a terra), c’è anche un allenamento “al doversi rialzare” ogni volta.

Questo allenamento mentale, dal corpo si trasferisce alla mente. Questa è la ragione per cui il rugby è visto come uno sport altamente formativo a livello psicologico e nello stesso tempo tempra dentro e fuori... visto che è anche giocato con qualsiasi condizione meteorologica.


Probabilmente il rugby l’avrete visto in televisione rappresentato, come testimonial, da una squadra di giocatori di nazionalità neozelandese – gli All Blacks – ripresi durante la loro danza tribale pre-partita - “la Hakka” - protagonisti di molte pubblicità.

Ma la particolarità di questa disciplina risiede nel fatto che è l’unico sport nel quale si gioca in 3 tempi: due di gioco ed uno di festa. Dopo aver disputato i due tempi di gioco sul campo, il TERZO TEMPO si disputa a tavola. Infatti, la società che ospita la squadra avversaria organizza per tutti i partecipanti un sobrio momento conviviale. Quindi, giocatori e tifoserie, famiglie e supporter, nel dopo partita, si ritrovano nella Club House per condividere un momento di festa, uniti.


IL TERZO TEMPO è un momento fondamentale della partita: non esiste non ospitare a pranzo perché si ha perso... come non esiste non fermarsi a mangiare perché si ha perso: questo è lo spirito del gioco che unisce tutti i rugbisti e le rugbiste.

La partita è un momento in cui “si combatte in campo” con maglie differenti, ma poi, al fischio dell’arbitro, ci si toglie la maglia e si è tutti accomunati dalla stessa passione. Nel rugby non si dice ad esempio “oggi gioco contro il Rimini”, si dice “oggi gioco con il Rimini”. Il TERZO TEMPO si fa in tutte le categorie!


A rugby si gioca sempre, dalla categoria Under 6 agli Over 60: cambia solo la modalità. Pensate che in questo sport non ci sono limiti di età. Nella categoria Master (da noi chiamata Old), ci si cambia solo il colore dei pantaloncini. In che senso?

Negli “Old” - settore amatoriale dopo i 40 anni - si può giocare sino a che lo spirito ed il corpo hanno voglia di calcare il campo. Nel rugby, per fermare l’avversario, ci si lancia sulle gambe stringendole per farlo cadere a terra. Ai giocatori e le giocatrici con un po’ più di anni e qualche acciacco in più vengono fatti indossare dei pantaloncini di colore differente dal resto dei giocatori. Questo escamotage permette loro di non essere toccati; questi ultimi, per contro, potranno fare solo un certo numero di passi e poi saranno obbligati a passare la palla.


Questo è sport: benessere, condivisione, scambio e socialità.

Una Team di rugby che si muove ogni domenica per disputare una partita è formato da più di 30 persone: 15 giocatori o giocatrici, 8 riserve, gli/le allenatrici, medici, dirigenti, senza dimenticare gli arbitri. Avete idea di che “macchina da guerra organizzativa” sia richiesta ogni domenica - in termini di mole di lavoro - quando si gioca in casa, per organizzare il TERZO TEMPO e preparare da mangiare per tutte le squadre? Significa cucinare almeno per 60 persone, senza contare genitori, parenti ed amici... per cui, visto che ogni domenica ci sono più partite in casa, tra il settore Junior e Senior, ecco che le famiglie che danno una mano ai Club rivestono un ruolo fondamentale.


Occorre sottolineare che le Società sportive di rugby - a parte poche società professionistiche - sono gestite prevalentemente da volontari e volontarie appassionati. Ed è proprio nella vita di Club che ognuno/a trova il proprio spazio ed il proprio senso di comunità. Nel rugby c’è spazio di espressione per tutti. Infatti questo sport rappresenta il giusto mix tra vita di campo e vita fuori campo, e ciò permette di far superare a molti lo scoglio della paura di relazionarsi con gli altri, permettendo loro di sentirsi parte integrante di una comunità che si ritrova in un ambiente sereno che sa di casa.


Più di quattro lustri trascorsi in campo con la palla ovale, hanno avuto sulla mia persona un impatto più che positivo, facendomi diventare la Donna che sono oggi.

Da questa mia esperienza di vita è nato “Wo*men’s rugby land of freedom: chi semina sport raccoglie futuro”, un progetto internazionale basato su 4 obiettivi dell’AGENDA 2030 dell’ONU (Istruzione di qualità / Salute / Equità, Pace), che ha come obiettivo il far emergere ulteriormente, quanto l’attitudine mentale, i valori e le capacità relazionali dello sport, siano uno strumento fondamentale per il futuro dei nostri bambini e bambine e per tutta la comunità. Ho intervistato 35 rugbiste e rugbisti di tutto il mondo, dall’Uganda alla Svezia...dal Laos alla Nuova Zelanda, chiedendo loro come il rugby avesse impattato positivamente nella vita di tutti i giorni e di come, rinforzando il carattere, li avesse resi più liberi di essere sé stessi.


La bellezza della forza è il senso di armonia che ci fa sentire bene con noi stessi e con gli altri, ed affrontare con il corpo e con la mente i “sali e scendi” che la vita ci riserva ogni giorno, sentendoci liberi di esprimerci, sapendo di poter sbagliare ma anche di poter recuperare e fare meglio. Questo è quello che mi ha insegnato il rugby.


"LA LIBERTA' NON TI VIENE SOLO DONATA, SI ALLENA DENTRO DI TE"


Dott.ssa Erika Morri

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