Acerca de
ZEN & Arti Marziali
Lo Zen è spesso apostrofato come la “religione dei Samurai”. Ma il matrimonio tra Zen e arti marziali è molto precedente: il celebre Bodhidharma, figura sospesa tra storia e mito, nel suo peregrinare si narra che arrivò in Cina per diffondere il Buddhismo e trovò dimora nel tempio di Shaolin.
Lì insegnò ai monaci la meditazione in zazen e l’insegnamento del Buddha. In zazen si deve tendere a una perfetta immobilità, concentrati solo sulla respirazione e sulla corretta postura, senza soffermarsi mentalmente su alcun pensiero, lasciando semplicemente che le immagini mentali passino come delle nuvole nel cielo. È un’immobilità totalmente priva di tensioni, in costante equilibrio sul fluire delle proprie sensazioni.
I monaci, che avevano appreso tecniche da combattimento per difendersi dagli assalti dei briganti e dalle bande paramilitari fondendole in un’arte marziale, integrarono questi insegnamenti nel loro programma di armonizzazione mente-corpo. Da allora la meditazione è sempre stata parte integrante della pratica delle arti marziali cinesi e solo successivamente di quelle giapponesi.
Del resto influenze filosofiche e religiose hanno da sempre permeato le Arti Marziali orientali ed occidentali
Il continuo confronto con la morte è sempre stato per il guerriero uno stimolo a una profonda introspezione che lo ha portato ad elaborare proprie convinzioni religiose e filosofiche. Non di rado al termine di una carriera militare, era possibile vedere il Samurai (o il cavaliere medioevale) ritirarsi a vita ascetica, quasi fosse una naturale conseguenza della propria tendenza all’introspezione.
Lo Zen è stata la concezione filosofico-religiosa che più si adattava alla mentalità pratica e stoica dei guerrieri orientali: alla base del pensiero Zen vi è infatti l’impermanenza di tutte le cose, il continuo mutare della realtà al quale l’uomo deve armoniosamente adattarsi il vivere pienamente ogni istante della vita, l’immersione totale nel Qui e Ora (l’hic et nunc dei latini, caro alla filosofia esistenzialista).
Questo atteggiamento porta ad una profonda libertà interiore, completamente svincolata dalla suggestione del passato e del futuro, considerati poco più che sogni.
Elementi decisivi sia nella meditazione che nel combattimento, sono costanza e presenza, nonché la capacità di concentrare la propria energia.
Una presenza “totale” deve caratterizzare ogni azione, istante dopo istante. Nella pratica dello zen come in quella delle arti marziali non è permesso pensare, riflettere. L’intuizione e l’azione devono scaturire nello stesso istante. Il segreto di questo tipo di movimento è la sua naturalezza, il suo nascere da inconscia capacità di “sentire”.
È lo stato di conoscenza più profondo, e viene chiamato hìshìryo, il pensiero che non pensa. Una sorta di vigile e totale rilassatezza del corpo che garantisce una percezione allargata del contesto e in cui intuizione e azione sono sincrone. La pratica dello Zen conduceva il guerriero ad ottenere lo stato di Mushin (non-mente) essenziale all'efficacia nel combattimento. È famoso il detto : "Ken Zen Ichinyo" : la spada e lo Zen sono una cosa sola.
Ogni gesto della vita quotidiana, anche quello che può sembrare il più insignificante, assume per il pensiero Zen un’importanza estrema, come manifestazione della vita e strumento per la realizzazione del sé e pertanto meritevole di attenzione e concentrazione.
E infatti la disciplina dello Zen si afferma in espressioni che seppur umili nella tradizione orientale, diventano forme d’arte, come la cerimonia del the, la calligrafia, l’origami, la preparazione del cibo, la disposizione dei fiori, arti che avevano come fine non l'efficacia bellica, ma la ricerca di sé, il perfezionamento interiore di chi le praticava, tutte assurte al rango di cerimonie ed elevate al livello delle più storicamente nobili arti della spada, del tiro con l’arco e tutte quelle più propriamente guerresche.
A seguito di questo atteggiamento interiore, la spada, l'arco e le frecce, le tecniche di combattimento a mani nude, si trasformarono lentamente da strumenti di morte in supporti della meditazione. Il combattimento divenne puramente spirituale, il nemico fu individuato in se stessi, nelle illusioni dell'ego che impediscono all'uomo di vedere la propria reale natura.
In virtù di questa influenza nacque il Bushido, insieme di princìpi morali, codice d'onore e disciplina cavalleresca che ha come fine il perfezionamento delle qualità fisiche e morali dell'uomo: il coraggio, la semplicità e la frugalità, la lealtà e la giustizia, la generosità e il disprezzo della morte.
Come ebbe a dire Taisen Deshimaru:
“Le arti marziali non sono teatro, né sport, né spettacolo. Il loro segreto è che in esse non esiste né vittoria, né sconfitta. Non si può vincere, né essere vinti".
Dott. Salvatore Gagliarde