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Non è lo Zen
Il termine Zen è fin troppo inflazionato nel nostro Occidente sempre a caccia di tendenze e facilmente vittima di ogni suggestione esotica. Talmente usato che tutti riteniamo di conoscerne il significato e le possibili implicazioni.
E probabilmente è vero se ci riferiamo solo all’estetica sottesa al suggestivo nome, che dal Giappone ha spiccato un balzo da gigante verso l’America dapprima, per poi riecheggiare in tutto il vecchio continente.
Ed altresì vero che i campi dell’arte in cui lo Zen ha fatto sentire la propria influenza sono innumerevoli: letteratura, musica, cinema, arti figurative, architettura, design. Ma anche fumetti, pubblicità, videogiochi e serie tv, territori generalmente annoverati con l’etichetta di “cultura pop”. La scarna esattezza delle forme, dei colori accoglienti, di geometrie bilanciate e ritmi ipnotici non poteva non far presa su una civiltà in frenetica corsa verso una crescita paventata come infinita e inarrestabile, ma i cui protagonisti, gli umani che la subiscono, avvertono sempre più come contraria alla propria natura, che tanto ambisce a fermarsi di tanto in tanto, riprendere fiato ed equilibrio, assaporare il presente.
Forse proprio perché intuitivamente così affine alla nostra intima natura, lo Zen merita allora di essere conosciuto più in profondità, quantomeno per essere consapevoli dei riferimenti culturali a cui stiamo attingendo, al di là della mera estetica, quando lo nominiamo o ne osserviamo i riflessi.
Per essere fedeli all’essenza dello Zen, sarebbe però più consono cercare di conoscerlo evitando di aggiungere definizioni e procedere invece per sottrazione.
Vediamo dunque cos’è lo Zen, cercando prima di capire cosa non è:
Non è una religione. Sì, nasce nell’ambito della religione Buddista e con essa si muove attraverso l’Oriente subendo le influenze di culture e religioni che partono dall’India per attraversare tutta la grande Cina e approdare infine in Giappone (e Korea, Vietnam, Thailandia, Cambogia ecc.), ma la pratica dello Zen non ci richiede una conversione, non ci richiede fede e nemmeno convinzioni. In effetti la maggior parte dei praticanti aderisce ad altre confessioni senza alcun conflitto.
Ciò nonostante non è neanche una setta (anche se forse in senso più ampio, essendosi sviluppata nell’ambito dell’esperienza Buddista, così come per il Lamaismo tibetano, si può parlare di setta, senza però l’accezione negativa che siamo avvezzi ad accostare al termine). Nella maggior parte dei casi la pratica avviene sotto la estemporanea supervisione di un insegnante, almeno all’ inizio, ma non è necessario e nemmeno particolarmente utile praticare insieme ad altre persone.
Non è neanche una filosofia in senso tradizionale, perché non ha da proporre una differente visione della realtà umana; ma se con l’espressione “filosofia” vogliamo intendere un modo di porsi nei confronti della realtà e del mondo e di elaborare i fenomeni immanenti e trascendenti, allora forse è anche una filosofia; se non che sarebbe la prima filosofia che non muove alcuna critica e non si pone come alternativa a nessun’altra filosofia, credenza, dottrina o religione.
E sicuramente non è uno stile di vita, giacché milioni di persone nel mondo si interessano allo Zen e lo praticano senza modificare, almeno esteriormente, le proprie abitudini usuali, anche se bisogna ammettere che in qualche modo la pratica dello Zen influenza anche lo stile di vita, soprattutto a livello intimo e personale.
Non è nemmeno un Logòs, un obiettivo. Al contrario, è l’assenza di qualsiasi target: Lo Zen presuppone una pratica meditativa NON animata dalla ricerca o dal perseguimento di obiettivi; è un abbandono del praticante alla realtà del momento, libero da rimpianti e sensi di colpa del passato e delle ansie per il futuro.
A questo punto una certezza dovrebbe essersi cementata: tutto quello che pensavamo fino ad ora, non è lo Zen.
L’occidentale che è in noi - a questo punto però - tratterrà a stento la propria curiosità intellettuale e con specifica domanda diretta vorrebbe chiedere: "Bene, capito chiaramente che cosa non è, potremmo sapere finalmente che cos’è questo fantomatico Zen?"
La risposta, benché non esaustiva, perché il concetto mal si presta ad essere inquadrato da una definizione scarna e priva di implicazioni, potrebbe essere: "È un’esperienza". Esperienza semplice, pura, priva di qualsiasi altra connotazione o scopo. Come fare un viaggio, in questo caso dentro sé stessi, privo dell’aspettativa dell’arrivo, semplicemente godendosi il percorso. Esperienza il cui unico atto di fede è … pensare che non sia una stupidaggine priva di senso!
Lo Zen è dunque un’esperienza di meditazione, di contemplazione, di accettazione, di immersione completa e totale nel “qui ed ora”, che si concretizza nello staccare completamente il pensiero, deattivandolo. Sì, in breve è proprio così, sedersi tranquilli senza pensare a nulla. Senza pensare.
Più facile a dirsi che a farsi, invero.
Provateci pure. Anche adesso, o stasera a casa, magari quando tutto è calmo, prima di dormire: chiudete gli occhi e provate a non pensare.
Il cervello umano, il nostro cervello occidentale sempre attivo, si ribella immediatamente: “come faccio a non pensare? Oddio, sto pensando a non pensare! Come faccio a smettere di pensare di non dover pensare!?” e via con tutto il calembour classico di domande e risposte che ci facciamo di continuo su ogni argomento, nel nostro incessante dialogo interiore.
A uno come me, appassionato dell’Oriente e delle arti orientali, al mio primo tentativo di evitare di pensare il cervello ha telegrafato: “cosa c’entra questo con le arti dei Samurai, la raffinata esattezza dei giardini orientali e le coreografiche cerimonie dei monaci buddisti?”
Vedremo di scoprirlo, insieme alle principali tecniche di “immersione nel presente”, nei prossimi appuntamenti su queste pagine.
Dott. Salvatore Gagliarde