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Image by Martin Adams

Dove stai andando così veloce?

Il morso della velocità percorre le nostre vite come la corrente elettrica nei cavi. Siamo schiavi delle velocità, tutto intorno il mondo corre e si affanna e noi con lui, come il criceto nella ruota che corre e corre e la meta non giunge mai. Ma la meta non giunge mai perché, appunto, non c'è e le tappe intermedie non hanno il potere consolatorio che vorremmo. Le mille cose da fare ci sembrano tutte, indifferentemente ed illusoriamente, importanti e così corriamo senza una meta reale. La pressione quotidiana che percorre le nostre vite non viene davvero dalla volontà di raggiungere alcunché bensì dall'ansia che consegue alla nostra costante attivazione fisica e motoria.

Quando le cose da fare sono troppe e non siamo più in grado di discriminare fra quelle importanti e quelle superflue, allora non resta che correre, correre e affannarsi, come il criceto.

L'ansia è un meccanismo che si innesca in seguito alla nostra frenesia fisica, non il contrario. L'interruttore della velocità non attiva solamente le nostre gambe e la velocità di pompaggio del cuore ma anche la nostra mente con i suo correlati biochimici fra i quali l'adrenalina ed il cortisolo, l'ormone dello stress. Un prolungato stato d'ansia e di attivazione, non compensato dal raggiungimento di un preciso obiettivo che ci permette di ripristinare uno stato di quiete, ci imprigiona nello stress e lo stress, come ci ha insegnato Martin Seligman, corrode, ci fa sentire impotenti e ci rende terribilmente vulnerabili a malattie e depressione.

Come afferma Nicoletta Cinotti, nota psicologa bioenergetica, “Noi siamo un corpo, un cuore e una mente. Delle tre quella più veloce è la mente.

Il corpo può allenarsi ma sarebbe di media velocità.

Il cuore invece ha tutte le marce. Corre veloce con le emozioni difensive come la rabbia e la paura, ha una buona velocità di crociera con le emozioni legate alla ricerca delle risorse e se ne va lento e rilassato con le emozioni affettive. Quando stiamo bene con qualcuno, quando vogliamo bene a qualcuno, rallentiamo. Perché il nostro cuore sa che l’amore ha ritmi lenti e ama il sostare più che "l’andare”.

Ma trovarci in costante stato di fuga dalle nostre vite non ci aiuterà a vivere meglio e soprattutto non ci permetterà davvero di trovare appagamento. Non si fugge da sé stessi. Occorre fermarsi, tirare il fiato, lasciare che l'aria fluisca nei polmoni cercando di essere presenti a noi stessi, sentire la poca pace del nostro quotidiano.

Se per un attimo potessimo guardarci da fuori e vedere quale condizione scegliamo di infliggerci, forse ci fermeremmo davvero, riprendendo il timone della nostra nave.

Fermarsi è un atto potente che ci restituisce dignità, consapevolezza, capacità di sentire i nostri stati e quindi scegliere cosa “darci in pasto” in termini di azioni ed emozioni.

Se non ti fermi non puoi sentire.

Thich Nhat Hanh, il noto monaco zen, nel suo Plum Village in Francia, così frequentato dagli ansiosi di tutto il mondo, spesso invita alla quieta presenza ed all'incontro, prima di tutto, con noi stessi. Nella nostra corsa quotidiana, nel tentativo maldestro e fallimentare di farcire come un tacchino anche il tempo libero, “non siamo abituati a stare con noi stessi e ci comportiamo come se non ci piacessimo, come se volessimo sfuggirci”.

Allora può essere utile “il respiro consapevole, quello che è con me tutto il tempo che sono vivo. Posso farlo ovunque, anche adesso, anche quando sono malato”. Il respiro consapevole obbliga a stare nel qui-e-ora e rendersi conto di quanta poca pace ci diamo e quanta pace e completezza invece ci sono in ogni momento, se solo ci permettiamo di sentirle.

Da qui si può iniziare, dal respirare con consapevolezza ogni volta che sentiamo il cuore a martello ed il fiato corto, lì in auto mentre andiamo chissà dove o sulla metro mentre ci pestano i piedi per passare, mentre attraversiamo le strisce pedonali o seduti davanti ad un tramonto ad ascoltare la risacca.

Sentire che siamo vivi e lasciare che la volontà si riposi per un attimo, il pugno si apra ed il mondo rallenti fa stare bene.

Basta fermarsi.​

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Dott.ssa Lara Marconi

Psicologa clinica

e psicoterapeuta della Gestalt in formazione

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