Perchè le cose non finite ci restano in testa?
- Dott.ssa Diana Resuttana
- 1 lug
- Tempo di lettura: 6 min
Come usare a nostro vantaggio l’effetto Zeigarnik
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Ti è mai capitato di pensare continuamente a qualcosa che hai lasciato in sospeso?
Magari una telefonata non fatta, un progetto non concluso, una conversazione lasciata a metà. Non sei solo!

Capita a tutti. Questo accade per un preciso meccanismo psicologico chiamato "Effetto Zeigarnik", dal nome della psicologa russa Bluma Zeigarnik che, negli anni ’20, osservò un comportamento curioso nei camerieri di un ristorante: ricordavano meglio gli ordini non ancora evasi rispetto a quelli già completati.
Intrigata dalla scoperta, condusse una serie di esperimenti che confermarono quanto intuito: i compiti incompiuti restano più vividi nella memoria rispetto a quelli portati a termine.

MA PERCHÉ SUCCEDE?
Il nostro cervello funziona come un sistema aperto: quando iniziamo qualcosa, si attiva un “circuito mentale”. Se l’attività si conclude, il circuito si chiude, la mente si libera e passa ad altro. Ma se viene interrotta o lasciata a metà, quel circuito resta aperto, mantenendo viva l’informazione e generando una tensione cognitiva.
Questa tensione ci spinge a voler completare ciò che è rimasto in sospeso, per ritrovare uno stato di equilibrio mentale. L’effetto Zeigarnik è quindi una strategia naturale della nostra mente per favorire il completamento dei compiti.
Può essere estremamente utile: ci aiuta a ricordare cose importanti da fare, a restare motivati in un progetto, a focalizzarci su obiettivi incompleti.
Ma può anche trasformarsi in un ostacolo, specialmente quando abbiamo troppe cose iniziate e poche concluse.

In quei casi, la sensazione è quella di avere la mente ingombra, come se ci fosse sempre qualcosa di “non finito” che pesa. Non solo: questo effetto ha conseguenze anche sul piano emotivo.
Una relazione interrotta senza spiegazioni, una lite lasciata senza chiarimento, una scelta non affrontata possono generare pensieri ricorrenti, ruminazioni e disagio.
La mente continua a tornare lì, come se cercasse una conclusione che non arriva mai.
Un altro aspetto interessante riguarda l’apprendimento. Gli studenti tendono a ricordare meglio gli argomenti che hanno studiato ma non approfondito completamente. Il senso di incompiutezza li spinge a tornare su quel tema, a cercare di completarlo, a voler colmare la lacuna. È una dinamica che - se ben gestita - può essere sfruttata a favore della motivazione allo studio.
Come possiamo usare l’effetto Zeigarnik a nostro favore?
Ecco alcune strategie pratiche:
Scrivi ciò che è in sospeso
Fare una lista delle cose da fare (o da chiarire) è un potente alleato. Mettere nero su bianco i compiti o le decisioni non prese aiuta la mente a “liberarsene” temporaneamente. È come dire al cervello: “Non lo sto dimenticando, è segnato qui”.
Questo semplice gesto riduce l’ansia e organizza il pensiero. Le liste non sono solo strumenti di organizzazione ma anche veri e propri alleati del benessere mentale.
Completa ciò che puoi, subito
Se un’attività richiede meno di due minuti, falla immediatamente. Una risposta a un messaggio, una prenotazione, un’email lasciata a metà: chiudere anche piccole cose alleggerisce il carico mentale e rafforza il senso di efficacia personale. Inoltre, più azioni concludi più aumenti il senso di padronanza e controllo sulla tua giornata.
Pianifica ciò che non puoi concludere
Non tutto può essere fatto subito. Pianificare un momento preciso in cui concludere qualcosa riduce l’ansia. La mente non ha bisogno che tutto sia finito ora ma ha bisogno di sapere quando finirà. Dare una scadenza definita a un compito sospeso toglie pressione e ci restituisce una direzione chiara.
Evita il multitasking eccessivo
Passare continuamente da un compito all’altro senza portarne a termine nessuno alimenta lo stress. Concentrati su un’attività per volta, concludila, poi passa alla successiva. Il cervello lavora meglio quando può chiudere un’attività prima di aprirne un’altra.
Usa l’interruzione consapevole
Interrompere un’attività a metà, in un punto interessante, può spingerti a riprenderla con più slancio. Questa tecnica è usata da scrittori e creativi per non perdere il filo. Sapere dove ricominciare rende più semplice il ritorno all’attività.
Dai una chiusura simbolica alle questioni emotive
Non sempre possiamo risolvere tutto ma possiamo trovare una forma di chiusura simbolica: scrivere una lettera (anche senza inviarla), parlare con una persona di fiducia, o dare un significato a ciò che è rimasto sospeso. Il cervello ha bisogno di una “fine”, anche se simbolica. A volte basta un gesto, una parola, un rito personale.
Fai pulizia mentale ogni tanto
Prenditi un momento per rivedere ciò che è in sospeso nella tua vita. Anche solo riconoscere le cose non concluse è un primo passo. Puoi decidere se chiuderle, pianificarle o accettare che non avranno una fine. Anche questo è liberatorio. La chiarezza mentale passa anche da qui.
Rivedi ciò che è in sospeso nella tua vita. Anche solo riconoscerlo è un primo passo.
Osserva i pensieri ricorrenti
Se una cosa torna spesso alla mente, forse è incompiuta. Prenditi un momento per ascoltarla. Magari non serve agire subito, ma comprenderla.
Concludi la giornata con un check mentale
Chiediti: cosa posso chiudere oggi, anche solo simbolicamente?
Questo aiuta il cervello a “staccare” davvero e favorisce il riposo.
Impara a lasciar andare
Non tutto ciò che è incompiuto va concluso. A volte è più sano scegliere consapevolmente di non portare avanti qualcosa. Anche questo è un modo per chiudere.
Fai attenzione alla mente che insiste
Quando un pensiero torna spesso, domandati: “Cosa ho bisogno di completare o chiarire?”.
Spesso la risposta non è un’azione concreta ma un passaggio interno.
Allena la tua “muscolatura della chiusura”
Ogni volta che porti a termine qualcosa rafforzi questa capacità. Anche terminare un libro iniziato, sistemare un angolo della casa lasciato in disordine o rispondere a un messaggio dimenticato possono essere piccole vittorie che liberano spazio mentale.
Un altro ambito dove l’effetto Zeigarnik ha un impatto rilevante è quello delle relazioni personali.Quando litighiamo con qualcuno e non c’è una vera risoluzione, è come lasciare una pagina aperta. Anche se non ce ne rendiamo conto, una parte della nostra energia mentale rimane ancorata a quell’episodio. Questo può influenzare il nostro umore, la concentrazione e persino il sonno. Avere consapevolezza di questo processo può aiutarci a cercare chiusure più sane, anche solo interiori.

Nel coaching e nella psicoterapia, questo effetto viene utilizzato per facilitare il cambiamento. Ad esempio, interrompere volutamente una seduta su un punto significativo può stimolare il paziente a riflettere e continuare l’elaborazione tra una sessione e l’altra.
Il pensiero incompiuto, se ben guidato, diventa un motore di trasformazione.
Anche nelle abitudini quotidiane possiamo usare piccoli accorgimenti per gestire meglio il nostro carico mentale. Ad esempio, chiudere sempre il giorno lavorativo con una mini revisione delle attività completate e di quelle da programmare per il giorno dopo può ridurre il senso di caos e aiutare a dormire meglio. È una forma di chiusura simbolica che dice al cervello: “Hai fatto il possibile per oggi”.
Chi lavora in ambiti creativi o di scrittura conosce bene l’utilità di interrompersi in un momento fertile, lasciando “appeso” un pensiero.
Hemingway diceva di smettere di scrivere quando sapeva cosa sarebbe venuto dopo. Questo gli permetteva di riprendere con più slancio. Una strategia che funziona perché sfrutta proprio la tensione dell’incompiuto.
Perfino il marketing usa questo principio: pensiamo ai trailer dei film, agli episodi delle serie TV che finiscono con un colpo di scena, alle frasi tipo “continua a leggere per scoprire…”. L’effetto Zeigarnik viene usato per mantenerci agganciati, per stimolare la curiosità e l’attenzione.
Per questo è importante imparare a distinguere tra l’effetto Zeigarnik utile – quello che ci motiva a completare, a tornare, a chiudere – e quello disfunzionale, che ci tiene bloccati in una ruminazione continua.
Se ci accorgiamo che stiamo pensando troppo a qualcosa di irrisolto, possiamo chiederci: “Cosa posso fare per dargli una forma di fine? Posso scriverne, parlarne, accettarlo?”.
Anche solo formulare questa domanda può creare uno spazio di sollievo.
La consapevolezza è il primo passo. Sapere che il nostro cervello funziona così ci aiuta a non sentirci in balia dei pensieri e a usare la nostra mente come uno strumento, non come un ostacolo.
In definitiva, vivere con più presenza e intenzionalità significa anche sapere quando aprire e quando chiudere. Significa riconoscere i cerchi aperti nella nostra vita, decidere quali meritano di essere conclusi e concederci la libertà di lasciare andare quelli che non possiamo più chiudere. L’effetto Zeigarnik ci mostra che ogni fine ha un potere: quello di liberare spazio per ciò che è nuovo, possibile e ancora da scrivere.
In sintesi, l’effetto Zeigarnik ci insegna che completare (o chiudere simbolicamente) ciò che abbiamo iniziato è un bisogno psicologico. Allenarci a riconoscerlo e a gestirlo con consapevolezza ci aiuta a vivere con più ordine mentale, a sentirci meno sopraffatti e più padroni della nostra vita. Saper chiudere, anche solo dentro di noi, è una forma di cura verso noi stessi.
Dott.ssa Diana Resuttana
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